Un’ Orso a La Valle Agordina, leggenda o realtà’ ? |
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Negli
anni verso la fine del secolo scorso a la Valle Agordina, paese che allora
viveva quasi esclusivamente di agricoltura, ogni anno succedeva
regolarmente qualcosa di misterioso. Nella
stagione della maturazione del granoturco, alimento essenziale per la vita
dell’epoca, nella frazione di Conàggia e in quelle vicine i proprietari
dei campi si risvegliavano al mattino, con i loro poderi quasi rasi al
suolo e saccheggiati, le bellissime pannocchie ammirate fino alla sera
prima erano misteriosamente sparite. La
sera del giorno dell’ultimo fattaccio, gli anziani e i Capi famiglia di
Conàggia si riunirono tutti in una stalla usata di solito per le faccende
importanti, per cercare di
capire chi o che cosa aveva potuto dissacrare i loro campi coltivati con
passione e con grande fatica. Si concluse quasi subito che c’era una
sola cosa da fare, vista la mancanza di testimonianze sui fatti si
dovevano appostare delle sentinelle vicino ai luoghi ancora non visitati,
così deciso, la mattina seguente fu subito costruita una piccola capanna
poi ricoperta di fieno, sistemata a pochi passi dal campo più lungo e
stretto ancora intatto, che permetteva di vedere con l’aiuto della luna quasi piena
che splendeva in quelle notti, gli eventuali ladri di granoturco. Severino,
il più intrepido e coraggioso fra i giovanotti di Conàggia, fu scelto
per l’appostamento della prima notte, già un’ora prima del calar del
sole era nella capanna, con sé oltre che un fiaschetto di vino e un po’
di polenta aveva portato il coltello da caccia del padre e un secchio.
Dalle varie aperture del suo piccolo rifugio, “Rino”, come lo
chiamavano gli amici, poteva agevolmente vedere due lati del campo
prescelto e un lato di quello che gli stava alle spalle qualche passo più
in là. Passarono
lentamente alcune ore, finita la polenta gli rimaneva soltanto poco vino
che decise di bere tutto d’un fiato mentre all’esterno della capanna
il buio aveva preso il sopravvento e il silenzio era calato nei prati e
nei boschi vicini, Rino seduto sul secchio con il coltello in mano, scrutò
con accuratezza dalle varie aperture per cercare di vedere o sentire
qualche strano movimento, qualcosa però lo confondeva, alla sua sinistra
vedeva quasi perfettamente il campo e due alberi più lontani, mentre dal
foro alla destra non riusciva a scorgere niente, forse la luna è stata
oscurata improvvisamente da una nuvola pensò, ma non convinto, decise di
avvicinarsi lentamente alla parete quando sentì uno strano rumore
giungere dall’esterno, incuriosito e un po’ impaurito, Rino non
riuscendo ancora a vedere niente, appoggiò una mano su uno dei legni di
sostegno della capanna e con l’altra vibrò un colpo secco con il
coltello verso il buio della finestrella, appena però la sua mano uscì
dall’apertura un pauroso gemito risuonò fino a Conàggia svegliando
subito quasi tutti. I
Capi famiglia accorsero in un lampo dov’era la capanna, con lampade e
fiaccole illuminarono quasi a giorno il luogo, dove trovarono con grande
sorpresa e paura il rifugio distrutto e Rino apparentemente sano, seduto
tremante sul suo secchio. Dopo
qualche minuto il ragazzo raccontò per filo e per segno che cosa gli era
successo, i cacciatori chiamati sul posto non ci misero molto a capire che
il coltello ritrovato nel frattempo qualche centinaia di metri più in là,
aveva colpito un grosso animale, probabilmente, viste le impressionanti
tracce lasciate sul terreno doveva
trattarsi di un orso. Erano
trascorsi molti anni ormai dall’ultima visita degli orsi a La Valle, di
solito arrivavano dalla vicina Val Crusa attraverso un particolare
passaggio (chiamato Bural de l’ors) che li portava salendo su una cresta
vicino alla Forcella Giaòn, per poi scendere per la Valle del Ru vicino
alla Malga Foca fino quasi in paese dove stazionavano per qualche tempo
cibandosi di un po’ di tutto per poi sparire nuovamente. Non
si erano mai viste però razzie di questo tipo, erano ormai stati divorati
quintali di mais. Si doveva subito porre rimedio. Fu deciso dal Consiglio
dei Capi Famiglia di uccidere l’orso, la sopravvivenza di un intera
comunità era legata proprio al raccolto di quei campi ancora intatti. Su
suggerimento del padre di Rino gli anziani chiamarono per l’importante
compito un esperto cacciatore da Noàch, Piero detto “Sciòp” si
diceva che da casa sua aveva colpito al primo colpo una campana del
campanile di Rivamonte, che fosse vero o no era l’unico in paese ad aver
già ucciso un’orso e questo al Consiglio bastava. Per
due giorni Piero si mise sulle tracce del grosso animale, sapendo che le
sue abitudini erano prevalentemente notturne, appena sorgeva il sole in
compagnia del suo cane l’uomo setacciò a raggiera tutti i sentieri, i
prati e i boschi dalla frazione di Mattèn fino alla Malga Foca. Scoprì
così che tutte le impronte si intensificavano nella zona della Val delle
Pontesie. Piero si portò fino all’imbocco della stretta e suggestiva
valle, era quasi sicuro che il grosso animale si nascondeva negli anfratti
naturali che questo perfetto rifugio offriva, ma sapeva anche che il
percorso nella valle era ostruito dopo poche centinaia di metri da una
parete rocciosa alta più di 20 metri, insuperabile da qualsiasi orso pur
grande che fosse, dunque doveva per forza di cose uscire da dove entrava. Nascosto
fra i rami degli abeti sopra le rocce alla destra dell’imbocco, poco
dopo il calar della notte puntò il suo fucile verso il basso, rimase
qualche minuto quasi senza quasi respirare nell’attesa di poter recepire
qualsiasi movimento quando dalla profonda e tetra valle sentì dei sassi
rotolare e un rumore sospetto che molto velocemente si portavano verso
l’esterno, Piero impietrito vide un’enorme orso bruno passare sotto di
lui, in pochi istanti si dileguò nella fitta boscaglia. Non
aveva mai visto qualcosa di simile, è vero ad un orso aveva sparato, ma
era di gran lunga più piccolo e poi di sicuro non così veloce. Dopo
qualche minuto e dopo essersi bevuto un sorso di grappa per riprendersi
dalla paura, si rese conto che non aveva nemmeno provato a tirare il
grilletto, lui il più esperto e bravo cacciatore del paese come poteva
spiegare al Consiglio che era rimasto praticamente paralizzato nel vedere
il grosso animale ? L’orso
aveva forse già raggiunto i campi ed era
inutile inseguirlo pensò, quindi era più logico aspettarlo
all’alba quando faceva ritorno nel’ angusto rifugio, decise quindi di
rimanere nella sua sicura postazione, ricordandosi che probabilmente il
coltello di Rino lo aveva ferito e quindi era sicuramente molto
pericoloso. Piero rimase sveglio tutta la notte, preparò un fantoccio con
la sua giacca e con il suo cappello e lo sistemò qualche metro sotto la
sua postazione. All’alba
l’orso scese dal pendio di fronte a lui, era davvero molto
grande, impressionante, pesava probabilmente due o tre quintali ma a
differenza della sera quando era schizzato via in un lampo era più lento,
procedeva piano, forse appesantito dall’ennesima incursione nei campi di
granoturco dove aveva mangiato per tutta la notte, appena si accorse del
pupazzo si rizzò sulle zampe posteriori in tutta la sua altezza, forse
tre metri, emettendo un forte latrato che fece rabbrividire Piero, tentò
così forse di impaurire il suo avversario ma, il cacciatore sparò, un
solo colpo spaccò in due il forte cuore dell’imponente orso. Si
racconta che gli occhi di Piero “Sciòp” e dell’orso
s’incrociarono per qualche attimo prima dello sparo, sta di fatto che
dopo questa incredibile esperienza il cacciatore di Noàch regalò il suo
prezioso fucile e non sparò mai più un colpo in tutta la sua vita,
l’orso fu esposto alla popolazione di La Valle per due giorni e poi
seppellito probabilmente in località Talàs alle pendici del Monte Celo
proprio di fronte a Conaggia. Pubblicato
su Agordino Più Notizie nel maggio ’98 e sul Corriere delle Alpi il 23
aprile ’99. La storia è stata tratta da un racconto di Antonio Da Roit “Tonèti” (1899-1984) di La Valle, autore William Da Roit (archivio Scuola di Mountain Bike Dolomites Guide). |
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